sabato 15 ottobre 2016

Guest Selection - La macchina e l´idea di libertà, riflessioni sonore

La musica fornisce splendide occasioni di incontro, racconta storie, suscita emozioni: elementi che si fondano con l'obiettivo che qui ci siamo prefissati, ovvero condividere i nostri ascolti e scoprirne di nuovi.

Ogni tanto offriamo il nostro spazio su questo blog a chi ha voglia di darci una mano, di svelarci una piccola porzione della "sua" musica, ringrazio ancora QueenForeverBlog per il loro articolo (qui).

Oggi ospitiamo i ragazzi di staimusic.com e le loro riflessioni sonore, una interessante analisi  sul ruolo della musica e sul contrasto che riesce ad esternare.
Passo il microfono, o per meglio dire la tastiera :-)


"La bellezza di dare gas con l´acceleratore e ritrovarsi di fronte un paesaggio mozzafiato...questa è libertà"

Lato A – Il sogno, belle canzoni rockeggianti che illudono
Questa playlist vuole riprodurre l'aspetto sano di quel sentimento di rabbia repressa - tipico del Rock - che si fomenta ogni mattina sulle vie cementate delle città, che contrasta pungente col sogno americano “on the road”, fatto di strade libere e canzoni indipendenti.
Stiamo, in fin dei conti, inconsciamente vivendo una nuova forma di schiavitù, non più manipolata e forzata, ma puramente volontaria. Ogni mattina consci della tortura che ci spetta, scendiamo col nostro secchiello di acqua calda, tremanti buttiamo il liquido bollente sul vetro ghiacciato e insicuri ripetiamo gli stessi orribili passi: entriamo in macchina, ci leghiamo la cintura, mettiamo in moto e con la mano destra accendiamo la radio.
Il flusso sonoro sarà una unica piatta colonna sonora di quel lungo tragitto che ci porta dritto alla nostra scrivania e che ci mangia costantemente i minuti alla nostra triste vita.
Cerchiamo di darci la carica, ci sproniamo a vicenda, soli in macchina, insieme nelle code mattutine.
Mentre la grigia neve ai bordi della strada e la nebbia sul parabrezza catturano la nostra attenzione, entra dagli spifferi un freddo che contrasta con il calore che cercano di darci le voci monotone della radio.
Ci lamentiamo silenziosamente, ma siamo schiavi di questa eterna falsa solidarietà sonora e ogni mattina ci ritroviamo lí, dietro i fari di un´altra macchina, inscatolati e ipnotizzati dalla musica che fuoriesce dallo stereo.
Questa playlist vuole riprodurre quel sentimento.

Canned Heat - On The Road Again

Free - All Right Now

Doors - Roadhouse Blues

Iggy Pop - The Passengers


David Bowie - Rebel Rebel

Talking Heads - Psyco Killer


Steppenwolf - Born To Be Wild

Lato B – La fredda realtá, banali canzoni pop che ci sorvegliano

Adele - Rolling In The Deep


Rihanna - Diamonds

David Guetta ft Sia - Titanium

Madonna - Ray Of Light

Cher - Believe

Natalie Imbruglia - Torn

Questo lato B é volutamente e ricercatamente un elogio alla Radio attuale: una schifezza pop.
Indegnamente ci danno uno schiaffo commerciale che ci presenta la realtà come é, senza troppe illusioni: una accozzaglia di input rapidi e continui che non lasciano tempo alla nostra mente di rilassarci e di pensare. Ma siamo sempre spremuti da continui e ininterrotti messaggi che saturano il nostro cervello. Oramai non siamo piú neanche capaci di leggere un libro e di immaginarci storie. Questa é la nostra torbida schiavitú.

Realizzare la nostra repressa situazione é come renderci conto di un amore finito. Qualcosa che ci é stato tolto senza la nostra volontá: la idea di libertá.

Lato C – Triste pezzo finale

“So che un giorno avrai una splendida vita, So che sarai il sole nel cielo di qualcun altro, ma perchè Perchè, perchè non può essere, non può essere il mio”
Pearl Jam, Black




giovedì 13 ottobre 2016

la rinascita del Rock

Nelle puntate precedenti, su questo stesso blog, è stata presa in esame una data, il 1967, forse il Big Bang del Grande Rock!

A seguito della rivoluzione Punk di fine anni 70, però, il piacere della sperimentazione è andato via via svanendo, lasciando un vuoto e facendo piombare la musica leggera dentro il vortice del Pop, governato dalle logiche delle classifiche e dalle dinamiche del mercato, per spingere il "prodotto" musica a vendere al sopra di ogni valore artistico.

Oggi quel gusto psichedelico del rock resiste? 
C'è ancora qualcuno che cerca di scoprire nuovi suoni? C'è chi ha voglia di sperimentare? 
C'è chi è ancora in grado di trasferire la propria fantasia dentro un riff di chitarra?

Forse si.

Forse ci sono ancora personaggi capaci di utilizzare la propria immaginazione per comporre un pezzo rock.
Parlo di gruppi come i Black Mountain che, cresciuti ascoltando quei grandi interpreti del Rock, ad un certo punto, si sono trovati a scrivere e comporre per conto loro alla maniera dei loro miti. In effetti dentro la loro musica è facile riconoscere piccoli frammenti di gruppi come: 

  • Jefferson Airplane
  • Rolling Stones
  • Genesis
  • Beatles
  • Velvet Underground 
  • Yes
  • Pink Floyd



In un periodo uggioso e poco innovativo per il Rock, il gruppo Canadese potrebbe rappresentare quel raggio di sole che gli appassionati cercano con insistenza.
Un rock coinvolgente e indipendente da tutte le mode, un suono che non ha paura di osare. Delle composizioni che non tengono conto del concetto di tempo, ignorando il fatto che un brano rock dovrebbe stare dentro i cinque minuti
Una band che si diverte a fare del sano Rock alla vecchia maniera, che questo blog è felice di celebrare, visto che il loro ultimo lavoro (pubblicato Aprile 2016) è passato quasi inosservato. La  Playlist di oggi è interamente dedicato a questo gruppo e si chiude con il brano "Mothers Of The Sun" traccia numero 1 del disco"IV", l'ultima fatica dei canadesi.
BUON ASCOLTO


sabato 8 ottobre 2016

Spotify celebra Bruno Mars


Nelle varie playlist che Spotify giornalmente propone, oggi sta riscuotendo notevole successo la selezione dedicata a Bruno Mars: Qui la playlist su Spotify

Ok non stiamo parlando del nuovo re del Pop, ma i brani proposti evidenziano l'evoluzione dell'artista che ha sicuramente beneficiato della collaborazione con Mark Robson (si proprio quello ).

Allora buon ascolto e se non volete che i vicini vi becchiamo ad ascoltarlo dopo che sbandierate i vostri eccelsi gusti musicali, usare le cuffie 😀 (io sto facendo così).

giovedì 6 ottobre 2016

La Bossa Nova - Saudade di Rio



Finite le olimpiadi, combatto la saudade ascoltando un po' di bossa nova, cercando di carpirne i segreti e di comprenderne le tematiche. 

Premesso che -per chi scrive- ogni genere musicale ha il suo abitat ed il suo orario di ascolto, ritengo la Bossa Nova adatta ad una riproduzione crepuscolare, dove le tonalità sussurrate possono mescolarsi meglio con l'ambiente che ci circonda.

La BN nasce in Brasile, verso la fine degli anni '50 e affonda le sue radici nella tradizione musicale brasiliana, influenzata positivamente dalla atmosfera di rinascita economica del paese.

Wiki mi spiega "Considerata una nuova maniera di eseguire il samba, la Bossa Nova viene inizialmente criticata a causa dell'influenza culturale nordamericana, percepita, negli accordi, molto simile al Jazz. I testi delle canzoni trattano temi leggeri e disimpegnati e raccontano la vita carioca. I primi vagiti delle nuove sonorità si avvertiranno con il grande Antônio Carlos Jobim e la sua Sinfonia de Rio de Janeiro, del 1955.

I padri e co-inventori della bossa nova sono comunemente considerati Antonio Carlos Jobim, Vinicius de Moraes e João Gilberto.
La bossa nova è un samba suonato in modo generalmente minimalista, spesso soffuso, senza particolare enfasi vocale e senza vibrato, su ritmo lento, se non lentissimo, ma con un incedere incalzante dovuto, normalmente, al caratteristico stile chitarristico attribuito, principalmente, a João Gilberto..."

E, comunque, la BN resterà nel mio immaginario Ronaldo in viaggio verso France98 😄


venerdì 30 settembre 2016

La Ruvida Poesia di Tom Waits

Lo so...pubblicare un post dopo sei mesi di silenzio meriterebbe qualche spiegazione, dovrei dire perché, dove, come e quando, ma siccome immagino che chi legge sopravviverà anche senza queste determinanti informazioni, passo oltre e metto sul piatto della buona musica.


In questi mesi è rimasto in silenzio solo il blog, nel frattempo la musica ha continuato ad accompagnarmi e per questo voglio proporre la mia soundtrack di queste settimane.

Da poco mi sto addentrando nella musica di Tom Waits e cercare di venirne a capo in poco tempo è un impresa impossibile, la varietà di tematiche, sonorità, interpretazioni non può essere ricondotto in alcuna sterile etichetta: per i più, me compreso,appartiene (apparteneva) a quel folto numero di artisti che si conoscono genericamente per qualche brano o per qualche cammeo.
I più forse lo ricorderanno per questo brano, ascoltato al cinema:


Onda Rock qui lo descrive così: La sua passione per gli eccessi sta tutta in una sua celebre frase: "Non riesco a capire coloro che si rifugiano nella realtà perché hanno paura di affrontare la droga". Oggi Tom Waits tenta di condurre una vita meno sregolata. Ma la sua voce ruggine e miele, ormai devastata dall'alcol, continuerà a cantare che la vita ha il suo "wrong side".

Dalla musica al cinema, parallelamente ai successi nel campo della musica recita in film importanti già dai primi anni Ottanta, ma l'incontro più fortunato è quello con il regista indipendente Jim Jarmusch, per il quale lavorerà insieme a Roberto Benigni.

L'arte di Waits è l'arte di un cantastorie che ha sempre contemplato l'America e i suoi ideali in modo critico, preferendo raccontare il lato oscuro dell'immaginario a stelle e strisce, abitata da vagabondi, anime erranti senza meta e da ogni genere di reietti.

Tralasciando tutto il resto, punto di partenza per l'ascolto è Swordfishtrombones, l'ottavo album in studio del cantautore statunitense, considerato una delle sue migliori opere. Pubblicato dalla Island Records nel 1983, segna il passaggio dalle atmosfere fumose di un Waits tipo jazz crooner ad uno stile più sofisticato, tipicamente postmoderno.


Alla prossima (speriamo tra meno di sei mesi...)

giovedì 18 febbraio 2016

Guest Selection - Withoutmusicians.it svela i capolavori del 1967!




Dopo le precedenti collaborazioni con altri appassionati di musica, oggi abbiamo il piacere di ospitare sul nostro blog, la selezione scelta da i redattori del sito withoutmusicians.it (clicca qui per visitare il loro spazio web) sui Capolavori del ’67, lascio la parola a loro ed alla buona musica del 1967!


Forse non tutti lo sapranno, ma il ’67 fu l’anno del rock. Una serie di fattori artistici e sociali si intrecciarono in quel preciso periodo storico determinando così la nascita di uno dei momenti creativi più fiorenti di tutta la storia del Rock. Nell’arco di alcuni mesi vennero rilasciati alla stampa alcuni degli album che avrebbero caratterizzato il sound di tutto il decennio successivo.
Partendo dalla sponda Uk ovviamente non si può non menzionare Il Sgt. Pepper dei Beatles (il disco che segnò la svolta psichedelica del gruppo di Liverpool). Da segnalare poi l’esordio dei Pink Floyd, The Piper At The Gates Of Dawn, l’album che aprirà la vera e propria strada alla psichedelica dei primi anni ’70. Perché se è vero che il Sgt Pepper rappresenta una sorta di compromesso tra il merseybeat e il psychedelic rock, non si può dire altrettanto del primo lavoro dei Pink Floyd nel quale si fondono i tre grandi filoni americani di questo genere: quello astratto, quello rumoroso e quello melodico.

Il ’67 nel Regno Unito è anche l’anno di David Bowie, il quale consegnerà alle stampe il suo omonimo esordio. Certo, queste prime canzoni non reggono il paragone con gli altri lavori che lo seguiranno, ma David Bowie rimane un disco da ascoltare almeno una volta nella vita. Spostandoci poi geograficamente verso nord dobbiamo ricordare un disco che ha una certa affinità con l’ultimo elencato. Stiamo parlando di Mellow Yellow del cantautore Donovan, conosciuto ai più per il suo rapporto con Dylan (e per averne emulato per lungo tempo le gesta). Questo suo quarto disco rappresenta certamente la vetta artistica di tutta la sua carriera.

E’ pero negli Stati Uniti che questo fenomeno creativo raggiunge il suo apice. Indipendentemente dal credo politico, è infatti innegabile che i moti giovanili del ’67 siano stati anch’essi un effetto di questo esasperato dinamismo sociale. In America, più di ogni altra nazione, si creò una versione assolutamente idealizzata di quella calda estate di quell’anno (la cosiddetta Summer Of Love) che però rendeva bene l’idea di come i ragazzi nati negli anni ’50 desiderassero il mondo. Io, lo specifico sempre, mi distacco culturalmente da questi moti studenteschi.

Ad ogni modo in quella calda estate dell’amore furono rilasciati alcuni fra i dischi più rivoluzionari di sempre. Ovviamente stiamo parlando dell’esordio dei Velvet Underground, un album che racchiudeva al suo interno la quintessenza della scena underground di New York. Quel disco narrava con un realismo ed un cinismo angosciante e spasmodico la vita nei sobborghi della Grande Mela.

I’m waiting for my man
Twenty-six dollars in my hand
Up to Lexington, 125
Feel sick and dirty, more dead than alive

Sempre in quello stesso periodo vanno poi ricordati altri due grandi album: l’esordio omonimo deiDoors e Are You Experienced? di Jimi Hendrix. Il primo ha sostanzialmente reinventato il concetto di musica rock così come oggi la conosciamo. The Doors è infatti un album tetro, decadente, visionario che si distanzia per infinite galassie dal merseybeat e da quel rock-pop primigenio che stava spopolando nel Regno Unito.


Are You Experienced? è il capolavoro della carriera di Jimi Hendrix, un disco che contiene al suo interno alcuni tra i suoi pezzi migliori (Foxey Lady – Purple Haze su tutte).

Una menzione particolare va poi a Younger Than Yesterday dei Byrds (probabilmente il loro album più riuscito) e a Forever Changes dei Love. Ah, senza poi dimenticare i vari Buffalo Springfield,Jefferson Airplane (probabilmente uno dei gruppi che incarna maggiormente l’essenza del ’67 e che proprio quell’anno fece uscire ben due dischi), i Beach Boys di Smiley Smile, Goodbye And Hello di Tim Buckley e la psichedelica dei The 13th Floor Elevators.

domenica 7 febbraio 2016

L'arte del Concept Album





In una precedente Playlist mi sono occupato di Rock Progressivo e Rock Psichedelico. Esaurire il discorso sugli anni d'oro della musica rock, fine anni '60 e prima metà dei '70, con un solo articolo non è sufficiente. Dato che questo blog nasce con l'idea di parlare di musica e di far parlare la musica di se stessa, sembrava brutto interrompere a metà la storia ed è quindi opportuno e doveroso affrontare il tema del concept album.
A seguito dell'intuizione che la musica Rock poteva non essere semplice strumento di intrattenimento per le masse, come voleva originariamente il sistema del Rock n' Roll, in cui il cantante era prima divo e poi anche musicista, ma piuttosto un pretesto per riunire bravi musicisti e dedicarsi alla sperimentazione, comincia a farsi strada l'idea che si potesse creare una vera e propria opera con gli strumenti del Rock. Non è un mistero che molte delle musiche del Prog Rock nascono per influenza della musica Classica. Il passo dalla musica Classica all'Opera è breve. Quindi ben presto tutti i brani vengono composti con l'intento di trovarne un comune denominatore, così da raccontare una storia, un concetto o rappresentare un determinato periodo storico o un luogo geografico attraverso di essi, appunto il Concept Album.
Chi cerca di sfuggire al sistema del concept album è Ian Anderson (Jethro Tull), che, però, dopo che la critica assegna l'etichetta di concept album a "Aqualung", per ripicca compone un disco con una traccia sola: "Thick As A Brick". Lo strano scherzo del destino vuole che quel disco sia considerato uno dei più mirabili esempi di concept album! La storia di "Thick As A Brick" la potrete trovare su altri siti, in questo contesto voglio solo rimarcare la bellezza di quest'opera che ha la sola pecca di essere un po' troppo lunga e alla fine ripetitiva (praticamente tutto il lato B rappresenta un reprise del Lato A). Quello che sorprende è la poliedricità della musica e la cura con cui è composto, una specie di scultura in miniatura creata con uno scalpello di precisione. Mi sembrava giusto inserirlo per intero nella Playlist, la scelta è stata quella di separarlo in due tracce ed inserire in mezzo dischi "figli" di quella sperimentazione che, per fortuna, ancora oggi resiste. Allora questo articolo non è più solo un completamento del discorso Progressive Rock, ma qualcosa di più ampio che abbraccia diversi stili musicali e facendo mente locale, ed una brevissima ricerca, nella compilation ci finiscono gruppi più recenti come i Green Day, che etichettati come punk moderno o Pop Punk, vengono forse sottovalutati (per quanto abbiano un successo mondiale). Billy Joe Armstrong compone un concept in pieno stile Punk, in cui deride il sistema americano, identificando l'Americano Medio come "American Idiot", anche se per "American idiot" spesso la band intende George W. Bush, reo di aver scatenato una guerra che non aveva ragione di esistere. Non molto distante è l'argomento trattato da un'altra band piuttosto contemporanea, i Nine Inch Nails, che nel disco "Downward Spiral" raccontano la storia di un individuo che soffre la società moderna fino a decidere di porre fine alla sua esistenza. Album tetro e introspettivo è ritenuto dalla critica uno dei migliori album degli anni '90. 
Ispirazione di molti concept album, compreso "American Idiot" sono gli Who, qui presenti col sempreverde "Tommy". Un lavoro che, come altre volte è accaduto per i Concept, trova anche una trasposizione cinematografica e che vede fra gli attori partecipanti anche Jack Nicholson.
I Queen con "Queen II" firmano un concept che non ha lato a e lato b, ma lato bianco, interamente composto da Brian May (ad eccezione dell'ultima traccia firmata da Roger Taylor) e un lato nero composto da Freddie Mercury, 4 brani servono per raccontare questa opera in cui il colore del vinile vuole mettere in evidenza l'esistenza della doppia personalità dei Queen, quella "pulita" e trasparente del chitarrista e quella tetra e misteriosa dell'istrionico cantante.
L'articolo prende forma e non trova una fine, parlerei dei Concept Album per un anno intero senza sosta!
Nella Playlist sono ancora presenti David Bowie che si è cimentato nella realizzazione di un concept con l'album "The Rise And The Fall Of Ziggy Sturdust And The Spiders From Mars". È di recente pubblicazione (29 Gennaio) il disco dei Dream Theater "The Astonishing", un vero e proprio romanzo in musica (decisamente rock). Dei Gentle Giant mi sembra il caso di ricordare il disco "Three Friends" del 1972, un lavoro che forse più di altri ha ricevuto l'attenzione dei componenti del gruppo sempre alla ricerca di sonorità barocche e dal gusto medioevale.
Uno dei primi gruppi, se non i primi in assoluto nell'ambito della scena Progressive, a dedicarsi all'arte del Concept Album, sono stati i  The Kinks, che nel 1968 pubblicarono "Arthur(Or The Decline And Fall Of British Empire)".
Molto vicino alle tematiche dei Kinks è il Concept Album di Rick Wakeman. Già tastierista degli YES, si dedica, ad un certo punto della sua carriera, alla produzione solitaria  componendo diverse opere, tra cui "The Myths And The Legends Of King Arthur And The Knights Of The Round Table", da cui, per questa Playlist, è stato estrapolato il brano "Arthur".
Di più recente pubblicazione sono i lavori degli Eels, il gruppo di Mark Oliver Everett, che in "End Times" trattano il tema della solitudine che diventa il trampolino di lancio per la nuova vita.
Non poteva mancare la rappresentanza Italiana in questa Playlist. Tanti sono stati i gruppi Prog Rock Italiani che si sono cimentati nella realizzazione di opere rock, fra tutti il brano che mi ha rapito: "750.000 anni fa... l'amore?" del Banco del Mutuo Soccorso. Prometto, visto che il genere Prog nel nostro paese non è ancora passato di moda, di dedicare una prossima Playlist agli artisti Italiani che hanno pubblicato, anche in tempi recentissimi, dischi che ricadono in questo genere musicale. A chiusura della Playlist l'album preferito del blog: "Dark Side Of The Moon", un disco che non ha bisogno di presentazioni... 


Buon Ascolto!

martedì 2 febbraio 2016

30 ANNI, ma SempreVerdi

I Green Day, gruppo sempregiovane, compie 30 anni. Malgrado il primo disco "1039/Smoothed" sia datato 1990, la band si forma, col nome di Sweet Child, a Berkeley nel 1986 ad opera di Billie Joe Armstrong, Mike Dirnt, Sean Hughes e Raj Pinjabi. Già nel 1987 Sean Hughes non crede più nel progetto e molla la band, lasciando il posto di bassista a Mike Dirnt. Anche Raj Pinjabi decide di lasciare il gruppo e viene sostituito da John Kiffmeyer (detto Al Sobrante). Il nome Green Day viene adottato dai ragazzi californiani nel 1989. L'anno successivo è Al Sobrante che decide, per motivi di studio, di mollare il gruppo, il suo posto verrà preso da Frank Edwin Wright III, più semplicemente conosciuto con il nome di Trè Cool. Da questo momento la formazione non cambierà più e vedrà alla voce/chitarra Billie Joe Armstrong, al basso Mike Dirnt e alla batteria Trè Cool. Nel 2012 si aggiunge un sideman al gruppo, ormai considerato il quarto membro dei GD: Jason White.
Al primo disco appartengono brani come "Green Day" e "At The Library", in cui sia il sound, che le liriche sono manifestamente di natura adolescenziale.
Il successo arriva con "Kerplunk", disco del 1992, il primo con Trè Cool alla batteria, che garantisce alla band l'attenzione delle major. Nel disco sono presenti brani come "Welcome to Paradise" e "My Generation",cover degli Who.
È col terzo disco, "Dookie", che I Gd sfondano anche e soprattutto grazie al brano "Basket Case",adottato dalla emittente Mtv come un vero e proprio inno. Nello stesso Lp appaiono altri brani noti del gruppo, uno su tutti "When I Come Around".
"Insomniac" e "Nimrod" gli album usciti nel 1995 e nel 1997 sono un mezzo passo falso per i GD perché non riescono a ripetere il successo di "Dookie", anche se da quelli escono brani come "Brain Stew", inserita nella bella colonna sonora di un film tremendo come "Godzilla", "King For a Day", spesso presente nella scaletta dei concerti, e, soprattutto, un cavallo di battaglia come "Good Riddance (Time of Your Life)", oggi uno dei titoli più apprezzati dai fan.
Nel 2000 è il turno di "Warning", che, oltre alla title track, contiene un brano come "Macy Day Parade", in cui i GD si interessano un po' più del sociale.
Insomma i ragazzi mostrano di crescere ed infatti nel 2004 esce un disco "maturo", ovvero il concept album, dichiaratamente ispirato a Tommy degli Who, "American Idiot". 
I lavori successivi, "21st Century Breakdown", "¡Uno!", "¡Dos!", "¡Tres!", usciti fra il 2009 ed il 2013, sono stati un discreto successo in fatto di vendite, ma sicuramente non dei grandi prodotti da un punto di vista qualitativo. 
In fondo i GD, che oggi sono dei quarantenni, non sono mai usciti dalla fase adolescenziale e questo si ritrova spesso nelle loro canzoni, e il meglio di loro lo danno sul palco. È durante i concerti che conquistano i fan e, a dimostrazione del fatto che la loro musica sia molto semplice, ormai è tradizione che durante le loro esibizioni invitino un fan a suonare sul palco assieme a loro (in basso un video in cui a suonare è un piccolo fan di appena 9 anni). Ma durante i live i "ragazzi" non nascondono di essere fan a loro volta di altri, come The Who, Guns n Roses, Black Sabbath e Ac/Dc, e di essere cresciuti suonando le cover dei loro miti musicali come qualunque altro gruppo di adolescenti dentro ad un garage quando si marina la scuola.
Insomma in questo articolo non si vuole discutere sul valore artistico dei Green Day. Sono sicuro che ognuno di voi avrà una propria personale opinione a riguardo e sono altrettanto sicuro del fatto che l'opinione sia divisa quantomeno in due correnti di pensiero, da una parte i puristi del Punk che vedono i GD come una band sopravvalutata e troppo Pop per essere veramente Punk, dall'altra chi li considera una buona band che ha percorso la propria strada proponendo a tratti qualcosa di interessante. Che si appartenga al primo o al secondo gruppo si deve riconoscere a Billie Joe e compagni la passione con cui hanno affrontato il loro progetto nel tempo e che, in fondo, quel successo che hanno riscosso è meritato e da ricercare in quel loro modo sorridente di presentarsi sul palco ad ogni esibizione. 
A voi la Playlist dei Green Day e un paio di video tratti da youtube
che inquadrano il fenomeno Green Day



giovedì 28 gennaio 2016

Trip Hop is not dead



C'era una volta il Trip Hop, fenomeno di cui questo blog si è già occupato(qui il link per l'articolo). C'era una volta e continua ad essere grazie a personaggi come Tricky
Originariamente aggregato ai Massive Attack e considerato il quinto membro della band, senza mai farne veramente parte, si dedica subito alla carriera solista pubblicando un disco (Maxinquaye) in memoria della mamma, morta suicida quando Adrian (il vero nome di Tricky) aveva solo 4 anni.
Nella carriera di questo artista si sono susseguiti alti e bassi e, malgrado la qualità della musica  da lui prodotta non si sia mai ridotta, il grande successo non è mai veramente arrivato. Mancanza di successo, o del grosso successo, che si deve imputare alla moda, che ha metabolizzato e digerito il fenomeno Trip Hop fino a tritarlo dentro la macchina del pop. Finito nelle grinfie di produttori musicali attratti più dal danaro che dalla qualità artistica, è diventato quasi un succedaneo della musica elettronica di natura dance.
In questi giorni Tricky pubblica il suo ennesimo lavoro, che non brilla per bellezza, ma che ha il pregio di inglobare suoni di natura diversa che strizzano l'occhio all'Hip Hop, al Dub e altri suoni elettronici. Un disco dal sapore acido che è preferibile ascoltare la sera. Un prodotto diverso da quanto propone il mercato in questo momento, in attesa che i superstiti dei Massive Attack pubblichino il loro nuovo disco, atteso in questi giorni.

martedì 26 gennaio 2016

Guest Selection - Queen Forever Blog Playlist


Per ognuno di noi c'è stato un momento in cui si è concretizzata una sorta di emancipazione musicale, ovvero un momento in cui ci si è finalmente impadroniti dello stereo di casa e la conoscenza musicale non è più limitata all'italiana 60s, ma spazia verso nuovi orizzonti.
Per me la scoperta della musica passa da due cassette - antenate di ogni playlist futura - registrate dal cugino più grande (molto simile al "il mio cuggino" di Elio):
1) una raccolta di vecchi successi di Eric Clapton;
2) A Night at the Opera dei Queen;
A fine anni 80, iniziavo un percorso, caratterizzato da una estrema curiosità musicale, che mi avrebbe portato ad ascoltare e ad apprezzare i musicisti tra loro più diversi, non rinnegando Modugno, dagli AC/DC agli Radiohead e così via, conservando una sorta di rispetto reverenziale nei confronti dei Queen e dei loro album.

Intimorito dalla produzione musicale dei Queen, ho ritenuto che solo un vero esperto potesse realizzare una playlist  convincente che riuscisse a riassumere tutte le loro varie anime.

Finite le premesse, lascio la parola ad Andrea, il nostro ospite, segnatevi il suo blog: http://queen4everblog.blogspot.it/ ringraziandolo sin d'ora per il fantastico lavoro che ci ha regalato.

"...Nel corso della loro carriera i Queen hanno realizzato 14 album e un numero enorme di singoli che ormai da 40 anni li hanno resi celebri in tutto il mondo. Il loro sound è riconoscibile fin dalle prime note e anche chi non li segue assiduamente conosce i loro successi, divenuti parte integrante del mondo dello sport, della pubblicità e di una moltitudine di film e spettacoli. Freddie Mercury poi è un'autentica leggenda, la tipica icona che trascende l'ambito musicale e fa parte dell'immaginario collettivo. Di più, i Queen sono un caso unico, perché tutti e quattro i membri hanno contribuito al successo senza tempo del gruppo e ancora oggi sono ammirati da altri musicisti e continuamente omaggiati. E, come tutti i grandi, anche i Queen hanno subito uno strano fenomeno, per cui le tantissime hits hanno in qualche modo offuscato molte altre canzoni, poco conosciute dal grande pubblico, ma spesso amatissime dai fans. Si tratta di quei brani che non hanno mai trovato spazio sui 45 giri o nelle setlist dei concerti o che, più semplicemente, sono rimaste nascoste tra i solchi degli album come veri e propri diamanti tutti da scoprire. Proviamo quindi con la playlist che segue a sondare la storia musicale dei Queen tralasciando per una volta canzoni storiche come Bohemian Rhapsody e Radio Ga Ga. Sarà un viaggio alla (ri)scoperta dei Queen meno famosi, con uno sguardo finale a quanto accaduto dopo la scomparsa di Freddie.

1) Keep Yourself Alive (1973 – da Queen). Tutto è iniziato da qui. Anche se prima dei Queen, tutti e quattro i componenti della band hanno avuto le rispettive esperienze musicali, questa canzone è davvero la prima manifestazione sonora della band. Scritta da Brian May, che la propose a Freddie e Roger Taylor già nel 1970, ha attraversato tre anni fatti di sperimentazioni e vari rimameggiamenti, che però non hanno mai del tutto soddisfatto il gruppo. Ma è anche la prima traccia dell'album che ha segnato l'esordio discografico dei Queen, una sorta di dichiarazioni di intenti di ciò che Freddie e soci volevano essere: una band hard-rock, che faceva della potenza e dell'eleganza i suoi tratti distintivi.

2) White Queen (1974 – Queen II). La band registrò il primo album tra enormi difficoltà tecniche e finanziarie, addirittura potendo sfruttare la sala di registrazione nei pochi momenti lasciati liberi da altri artisti (il che solitamente accadeva nel cuore della notte o la mattina presto). Con il secondo album il gruppo poté disporre di maggiore autonomia e ciò li indusse a sviluppare un progetto più articolato che portò alla pubblicazione di un vero e proprio concept album, che giocava sul contrasto tra bianco e nero, luce e oscurità. Il lato A, in questo caso chiamato White Side, comprendeva composizioni scritte da Brian May e White Queen rappresenta il momento forse più importante del lavoro fatto dal chitarrista fino a quel momento. Scritta quando era ancora uno studente del liceo, White Queen è il racconto di una dea/regina, sviluppato da Brian come omaggio a una ragazza di cui era innamorato ma alla quale non ebbe mai il coraggio di dichiararsi. Soprattutto dal vivo è un pezzo che raggiunge una grande drammaticità e che avrebbe meritato maggiore attenzione di pubblico e critica.

3) The March Of The Black Queen (1974 – Queen II). Il lato nero (Black Side) di Queen II fu scritto interamente da Freddie Mercury. Nei primi anni '70 le sue composizioni avevano forti richiami col mondo fantasy, alla Tolkien, in cui i protagonisti sono orchi famelici, fate e re tiranni. Questo brano è la perfetta antitesi del pezzo scritto da Brian: ricco di sonorità e stratificazioni, per i fans è la prima versione embrionale dei concetti poi magnificamente rappresentati in Bohemian Rhapsody. E, proprio come nel caso del capolavoro del 1975, anche per questa canzoni i nastri vennero sovra-incisi talmente tante volte da rischiare di sgretolarsi letteralmente tra le dita. Il risultato è una corsa folle tra cori, armonie e un panorama sonoro che ancora oggi riesce a sorprendere ad ogni nuovo ascolto.

4) Now I'm Here (1974 – Sheer Heart Attack). Il terzo album dei Queen fu il tentativo dichiarato di realizzare un disco di canzoni, più immediato e diretto rispetto al precedente, ma senza rinunciare alle continue elaborazioni e sperimentazioni sonore divenute ormai un marchio di fabbrica della band (assieme all'ostentata dichiarazione “no synth”). Fu anche un disco complicato dalle difficoltà fisiche di Brian May, costretto in ospedale da vari problemi di salute e dalla necessità di non tralasciare l'aspetto live della loro carriera. Tuttavia il risultato è un disco potente, estremamente vario, capace di preannunciare molte delle cose che i Queen avrebbero fatto di lì a poco. Il brano scelto per rappresentare il disco è una composizione scritta da Brian May dal suo letto d'ospedale e che racconta le imprese della band durante il tour americano che li vide come supporter dei Mott The Hoople. Anche in questo caso, è dal vivo che ha assunto nel corso degli anni un ruolo da protagonista in ogni concerto della band, fino all'ultimo tour nel 1986.

5) I'm In Love With My Car (1975 – A Night At The Opera). Un altro punto di forza dei Queen, un'altra caratteristica unica, è il fatto di avere nella line-up non uno, ma ben tre cantanti in grado di contribuire ai cori e di cantare singole canzoni con credibilità ed efficacia. Soprattutto la voce aspra e potente di Roger Taylor è sempre stata un elemento fondamentale, con la sua capacità di amalgamarsi perfettamente al ventaglio pressoché infinito di colori della voce di Freddie Mercury, tanto in studio quanto dal vivo. Roger inoltre ha scritto veri e propri capolavori, come Radio Ga Ga e A Kind Of Magic, mentre con l'inno hard rock intitolato I'm In Love With My Car celebra l'amore per le automobili. Il brano venne utilizzato come lato B del singolo Bohemian Rhapsody, uno dei più venduti di sempre nella storia della musica, suscitando non pochi problemi con Brian e John, in qualche modo esclusi dai lauti guadagni. Ma il brano non è da sottovalutare e, anzi, merita enorme considerazione essendo tra i più aggressivi mai incisi dai Queen.

6) Teo Torriatte (1976 – A Day At The Races). Chi conosce i Queen sa quanto fu importante il rapporto con il Giappone. In Oriente la band è stata amata fin da subito, tanto da essere accolta in ogni tour con autentiche scene isteriche, in puro stile Beatles! Freddie in particolare ha amato l'arte di quel paese, diventando un accanito collezionista delle famose ceramiche giapponesi e facendo suo, anche sul palco, lo stile elegante e raffinato del Giappone, sfoggiando dei kimono e altri orpelli tipici. E proprio per rendere omaggio a quella terra, Brian May scrisse questo brano, una sontuosa ballata con frasi in giapponese e cori perfetti per le grandi arene.

7) Spread Your Wings (1977 – News Of The World). John Deacon era il tipico bassista delle rock band. Preciso e taciturno, se ne stava sul palco (e in sala di registrazione) facendo della discrezione la sua arma vincente, unita a una straordinaria competenza nel campo dell'elettronica. In più ha scritto canzoni come Another One Bites The Dust e I Want To Break Free, che hanno letteralmente consegnato ai Queen un successo planetario anche nei difficili anni '80. Nel disco, che comprendeva inni come We Will Rock You e We Are The Champios, John si cimentò con una ballata davvero poco conosciuta ma che per i fans rappresenta forse il suo vero capolavoro. È un vero e proprio racconto che ha per protagonista un ragazzo in cerca della propria strada, che nel frattempo lavora in un bar dove riceve i consigli del titolare che lo incita a spiccare il volo. Musicalmente è la rappresentazione di ciò che i Queen saranno per tutta la loro carriera, una band capace di sfornare ballate che il pubblico non può fare a meno di cantare.

8) Mustapha (1978 - Jazz). Fino al giorno della sua morte, Freddie Mercury è stato considerato un mistero. Estremamente schivo nella propria vita privata, che ha sempre cercato di custodire tenendo lontani i riflettori, non ha mai davvero raccontato molto di sé e delle sue origini. Questo brano tuttavia affonda direttamente nelle radici più antiche e oscure di questo ragazzo nato nell'isola di Zanzibar e di fede Zoroastriana. Il brano, caratterizzato da continui rimandi alle tipiche sonorità arabe, è cantato in un dialetto (il Parsi) conosciuto solo da una manciata di persone in tutto il mondo e richiama le tradizioni dell'antica Persia, dove il culto di Zoroastro mosse i primi passi prima ancora dell'avvento delle tre grandi religioni monoteiste. Si tratta di un “folle divertimento”, un gioco sonoro realizzato con incredibile serietà e maestria. Una di quelle cose che se fatte da altri potrebbero apparire solo bizzarre e dimenticabili, ma che nelle mani (e nella voce) di Freddie diventa puro genio.

9) Play The Game (1980 – The Game). La nuova decade per i Queen si aprì con la voglia e la necessità di rimettere in discussione tutto quanto fatto fino a quel momento. I membri della band sono sempre stati consapevoli che per durare non potevano fossilizzarsi sullo stesso genere, sebbene collaudato e dal sicuro successo. Così nel 1980 pubblicarono The Game, che modificava radicalmente il loro stile, anche con l'introduzione dei sintetizzatori, fino a quel momento ostinatamente rifiutati. Il disco conteneva pezzi memorabili come Another One Bites The Dust e Crazy Little Thing Called Love. L'apertura dell'album era invece affidata a questa ballata in puro stile Mercury, una nuova dichiarazione di intenti sonora di quello che sarebbe stato da allora in poi il percorso musicale dei Queen.

10) Life Is Real (1982 – Hot Space). Freddie Mercury definì questa canzone come una ballata alla John Lennon, a cui il brano è effettivamente dedicato. Per il loro nuovo album, che soprattutto sul primo lato proponeva numerose sperimentazioni in chiave funky, Freddie propose questa intensa composizione che celebrava il genio di Liverpool e che resta anche oggi un omaggio emozionante, portato in giro nei teatri da Brian May assieme alla cantante Kerry Ellis in una magnifica versione acustica.

11) Machines (1984 – The Works). I Queen hanno sempre amato la fantascienza, soprattutto Brian May che dopo il brano '39 del 1975 (in cui esplorava le possibilità dei viaggi nel tempo), scrisse assieme a Roger Taylor questa canzone interamente dedicata al mondo dei computer. A metà degli anni '80 l'idea che le macchine potessero prendere il sopravvento sull'umanità era parecchio diffusa grazie a libri e film che trattavano l'argomento. La band non si sottrasse alla fascinazione dell'argomento con questo brano rock, caratterizzato da batteria e chitarra sapientemente mescolate con abbondanti dosi di elettronica, divenute ormai l'ennesimo tratto distintivo della nuova musica dei Queen.

12) One Year Of Love (1986 – A Kind Of Magic). Dopo un album/colonna sonora come Flash Gordon (uscito nel 1980), i Queen tornarono a praticare i sentieri del cinema grazie al film Highlander per il quale scrissero alcuni brani poi finiti sul disco, che rappresentò un supporto formidabile per il leggendario Magic Tour, l'ultimo fatto assieme a Freddie Mercury. Nella setlist dell'epoca mancava però questo pezzo amatissimo dai fans, una composizione atipica scritta da John Deacon, a cui è legato anche un aneddoto poco conosciuto: non del tutto soddisfatto dell'assolo inciso alla chitarra da Brian May, il bassista chiese al sassofonista Steve Gregory di registrare la versione definitiva della canzone. È probabilmente una delle ballate più romantiche mai apparse su un album dei Queen. 

13) Was It All Worth It (1989 – The Miracle). Dopo tre anni di assenza dalle scene, durante i quali molti erano convinti che i Queen ormai non esistessero più, la band tornò a conquistare il mercato discografico con un album che coniugava perfettamente le esperienze più pop ed elettroniche degli ultimi anni con un ritorno al rock duro dei primi tempi. Da The Miracle furono estratti ben 5 singoli, mentre rimase nell'ombra la traccia conclusiva del 33 giri. Scritta da Freddie Mercury (anche se accreditata a tutto il gruppo) è forse il vero testamento spirituale del frontman, che ripercorre idealmente tutta la carriera dei Queen per giungere alla conclusione che si, fare tutto questo ne è valsa davvero la pena. 

14) These Are The Days Of Our Lives (1991 - Innuendo). Quando uscì il nuovo album dei Queen nel 1991 in pochi sapevano che quello sarebbe stato l'atto conclusivo di una carriera immensa, sebbene le voci sullo stato di salute di Freddie si rincorressero sulla stampa scandalistica già da tempo. Questo brano, in realtà scritto da Roger Taylor nella sala d'attesa di un aeroporto e pensato come una sorta di lettera per i figli a cui raccontare la propria vita, divenne per forza di cose l'ennesimo testamento musicale di Freddie, soprattutto grazie allo struggente video che lo vede per l'ultima volta protagonista con una performance sofferta eppure meravigliosa nella sua semplicità. Anche in questo caso parliamo di una canzone poco nota al grande pubblico ma che non smette di emozionare i fans di tutto il mondo per la profondità del testo e la delicatezza sonora.

15) Mother Love (1995 – Made In Heaven). Nonostante la malattia lo avesse seriamente debilitato, Freddie non ha mai smesso di incidere musica, anche dopo la pubblicazione di Innuendo. La sua idea era di lasciare ai fans e ai Queen materiale sufficiente per pubblicare un altro album. Il risultato arrivò solo nel 1995 e Mother Love, scritta a quattro mani con Brian May, fu il risultato della volontà di Freddie di poter cantare un brano in stile Wicked Game di Chris Isaac (e, in effetti, le similitudini sonore non mancano). Si tratta di una vera e propria poesia, un'invocazione affinché tutto il dolore possa sparire con un'ideale ritorno nel grembo materno. Non la stanca resa alla malattia, ma l'accettazione della propria condizione, un atto di forza potente almeno quanto la lotta stessa al male. Stranamente, pur essendo uno dei pochi veri inediti presenti sul disco, di Mother Love non è mai stato tratto un singolo e forse per questo pur essendo un autentico e atipico capolavoro nella discografia dei Queen, resta tra i brani meno conosciuti dal grande pubblico.

16) No-One But You (1997 - Rocks). I Queen senza Freddie Mercury non possono esistere. Questa è una delle frasi più ricorrenti che i fans, la critica e la stessa band hanno pronunciato più volte dopo il 1991. Eppure esiste una storia post Freddie che merita di essere raccontata e conosciuta. Questo singolo, unico inedito per la raccolta Rocks, vede la band nella formazione originale, con al basso per l'ultima volta John Deacon, che di lì a poco sceglierà di ritirarsi dalle scene. Cantata da Brian e Roger, è una ballata in perfetto stile Queen nonostante l'assenza di Freddie ed è dedicata a lui e a tutti quei grandi personaggi scomparsi troppo presto.

17) We Believe (2008 – The Cosmos Rocks). L'incontro con il cantante Paul Rodgers segnò l'inizio di una vera e propria nuova fase nella carriera dei Queen. Assieme all'ex leader dei Free e Bad Company si imbarcarono in un tour celebrativo e il successo ottenuto li spinse a mettersi alla prova anche in studio. Il risultato fu un album passato pressoché inosservato e il più delle volte stroncato dalla critica. Eppure si tratta di un lavoro interessante, splendidamente suonato e con alcune canzoni che avrebbero meritato ben più fortuna. Tra queste c'è sicuramente We Believe, scritta da Brian May e ispirata alle sue lotte animaliste, che lo hanno reso tra i promotori più importanti per la salvaguardia dell'ambiente nel Regno Unito e non solo. Tuttavia il mancato successo segnò la fine della collaborazione con Rodgers, ma non dei Queen, da qualche anno ormai ritornati con ancora maggiore determinazione (e successo) assieme al nuovo frontman Adam Lambert.

18) Let Me In Your Heart Again (2014 - Forever). Consapevoli che il pubblico vuole soprattutto la voce di Freddie Mercury, meno di due anni fa la band ha dato alle stampe con la nuova casa discografica (Universal) la raccolta Forever che contiene anche tre inediti o semi-inediti. Tra questi spicca una sontuosa ballata scritta originariamente da Brian May per un progetto discografico della sua attuale moglie, l'attrice Anita Dobson. Il brano, pensato per The Works, venne tuttavia  accantonato e di fatto dimenticato negli sterminati archivi della band. Fortunatamente, la recente riscoperta dei nastri dell'epoca ha consentito la pubblicazione di questa canzone, ingiustamente rimasta chiusa nei cassetti e che fa ben sperare per il futuro...".