martedì 26 gennaio 2016

Guest Selection - Queen Forever Blog Playlist


Per ognuno di noi c'è stato un momento in cui si è concretizzata una sorta di emancipazione musicale, ovvero un momento in cui ci si è finalmente impadroniti dello stereo di casa e la conoscenza musicale non è più limitata all'italiana 60s, ma spazia verso nuovi orizzonti.
Per me la scoperta della musica passa da due cassette - antenate di ogni playlist futura - registrate dal cugino più grande (molto simile al "il mio cuggino" di Elio):
1) una raccolta di vecchi successi di Eric Clapton;
2) A Night at the Opera dei Queen;
A fine anni 80, iniziavo un percorso, caratterizzato da una estrema curiosità musicale, che mi avrebbe portato ad ascoltare e ad apprezzare i musicisti tra loro più diversi, non rinnegando Modugno, dagli AC/DC agli Radiohead e così via, conservando una sorta di rispetto reverenziale nei confronti dei Queen e dei loro album.

Intimorito dalla produzione musicale dei Queen, ho ritenuto che solo un vero esperto potesse realizzare una playlist  convincente che riuscisse a riassumere tutte le loro varie anime.

Finite le premesse, lascio la parola ad Andrea, il nostro ospite, segnatevi il suo blog: http://queen4everblog.blogspot.it/ ringraziandolo sin d'ora per il fantastico lavoro che ci ha regalato.

"...Nel corso della loro carriera i Queen hanno realizzato 14 album e un numero enorme di singoli che ormai da 40 anni li hanno resi celebri in tutto il mondo. Il loro sound è riconoscibile fin dalle prime note e anche chi non li segue assiduamente conosce i loro successi, divenuti parte integrante del mondo dello sport, della pubblicità e di una moltitudine di film e spettacoli. Freddie Mercury poi è un'autentica leggenda, la tipica icona che trascende l'ambito musicale e fa parte dell'immaginario collettivo. Di più, i Queen sono un caso unico, perché tutti e quattro i membri hanno contribuito al successo senza tempo del gruppo e ancora oggi sono ammirati da altri musicisti e continuamente omaggiati. E, come tutti i grandi, anche i Queen hanno subito uno strano fenomeno, per cui le tantissime hits hanno in qualche modo offuscato molte altre canzoni, poco conosciute dal grande pubblico, ma spesso amatissime dai fans. Si tratta di quei brani che non hanno mai trovato spazio sui 45 giri o nelle setlist dei concerti o che, più semplicemente, sono rimaste nascoste tra i solchi degli album come veri e propri diamanti tutti da scoprire. Proviamo quindi con la playlist che segue a sondare la storia musicale dei Queen tralasciando per una volta canzoni storiche come Bohemian Rhapsody e Radio Ga Ga. Sarà un viaggio alla (ri)scoperta dei Queen meno famosi, con uno sguardo finale a quanto accaduto dopo la scomparsa di Freddie.

1) Keep Yourself Alive (1973 – da Queen). Tutto è iniziato da qui. Anche se prima dei Queen, tutti e quattro i componenti della band hanno avuto le rispettive esperienze musicali, questa canzone è davvero la prima manifestazione sonora della band. Scritta da Brian May, che la propose a Freddie e Roger Taylor già nel 1970, ha attraversato tre anni fatti di sperimentazioni e vari rimameggiamenti, che però non hanno mai del tutto soddisfatto il gruppo. Ma è anche la prima traccia dell'album che ha segnato l'esordio discografico dei Queen, una sorta di dichiarazioni di intenti di ciò che Freddie e soci volevano essere: una band hard-rock, che faceva della potenza e dell'eleganza i suoi tratti distintivi.

2) White Queen (1974 – Queen II). La band registrò il primo album tra enormi difficoltà tecniche e finanziarie, addirittura potendo sfruttare la sala di registrazione nei pochi momenti lasciati liberi da altri artisti (il che solitamente accadeva nel cuore della notte o la mattina presto). Con il secondo album il gruppo poté disporre di maggiore autonomia e ciò li indusse a sviluppare un progetto più articolato che portò alla pubblicazione di un vero e proprio concept album, che giocava sul contrasto tra bianco e nero, luce e oscurità. Il lato A, in questo caso chiamato White Side, comprendeva composizioni scritte da Brian May e White Queen rappresenta il momento forse più importante del lavoro fatto dal chitarrista fino a quel momento. Scritta quando era ancora uno studente del liceo, White Queen è il racconto di una dea/regina, sviluppato da Brian come omaggio a una ragazza di cui era innamorato ma alla quale non ebbe mai il coraggio di dichiararsi. Soprattutto dal vivo è un pezzo che raggiunge una grande drammaticità e che avrebbe meritato maggiore attenzione di pubblico e critica.

3) The March Of The Black Queen (1974 – Queen II). Il lato nero (Black Side) di Queen II fu scritto interamente da Freddie Mercury. Nei primi anni '70 le sue composizioni avevano forti richiami col mondo fantasy, alla Tolkien, in cui i protagonisti sono orchi famelici, fate e re tiranni. Questo brano è la perfetta antitesi del pezzo scritto da Brian: ricco di sonorità e stratificazioni, per i fans è la prima versione embrionale dei concetti poi magnificamente rappresentati in Bohemian Rhapsody. E, proprio come nel caso del capolavoro del 1975, anche per questa canzoni i nastri vennero sovra-incisi talmente tante volte da rischiare di sgretolarsi letteralmente tra le dita. Il risultato è una corsa folle tra cori, armonie e un panorama sonoro che ancora oggi riesce a sorprendere ad ogni nuovo ascolto.

4) Now I'm Here (1974 – Sheer Heart Attack). Il terzo album dei Queen fu il tentativo dichiarato di realizzare un disco di canzoni, più immediato e diretto rispetto al precedente, ma senza rinunciare alle continue elaborazioni e sperimentazioni sonore divenute ormai un marchio di fabbrica della band (assieme all'ostentata dichiarazione “no synth”). Fu anche un disco complicato dalle difficoltà fisiche di Brian May, costretto in ospedale da vari problemi di salute e dalla necessità di non tralasciare l'aspetto live della loro carriera. Tuttavia il risultato è un disco potente, estremamente vario, capace di preannunciare molte delle cose che i Queen avrebbero fatto di lì a poco. Il brano scelto per rappresentare il disco è una composizione scritta da Brian May dal suo letto d'ospedale e che racconta le imprese della band durante il tour americano che li vide come supporter dei Mott The Hoople. Anche in questo caso, è dal vivo che ha assunto nel corso degli anni un ruolo da protagonista in ogni concerto della band, fino all'ultimo tour nel 1986.

5) I'm In Love With My Car (1975 – A Night At The Opera). Un altro punto di forza dei Queen, un'altra caratteristica unica, è il fatto di avere nella line-up non uno, ma ben tre cantanti in grado di contribuire ai cori e di cantare singole canzoni con credibilità ed efficacia. Soprattutto la voce aspra e potente di Roger Taylor è sempre stata un elemento fondamentale, con la sua capacità di amalgamarsi perfettamente al ventaglio pressoché infinito di colori della voce di Freddie Mercury, tanto in studio quanto dal vivo. Roger inoltre ha scritto veri e propri capolavori, come Radio Ga Ga e A Kind Of Magic, mentre con l'inno hard rock intitolato I'm In Love With My Car celebra l'amore per le automobili. Il brano venne utilizzato come lato B del singolo Bohemian Rhapsody, uno dei più venduti di sempre nella storia della musica, suscitando non pochi problemi con Brian e John, in qualche modo esclusi dai lauti guadagni. Ma il brano non è da sottovalutare e, anzi, merita enorme considerazione essendo tra i più aggressivi mai incisi dai Queen.

6) Teo Torriatte (1976 – A Day At The Races). Chi conosce i Queen sa quanto fu importante il rapporto con il Giappone. In Oriente la band è stata amata fin da subito, tanto da essere accolta in ogni tour con autentiche scene isteriche, in puro stile Beatles! Freddie in particolare ha amato l'arte di quel paese, diventando un accanito collezionista delle famose ceramiche giapponesi e facendo suo, anche sul palco, lo stile elegante e raffinato del Giappone, sfoggiando dei kimono e altri orpelli tipici. E proprio per rendere omaggio a quella terra, Brian May scrisse questo brano, una sontuosa ballata con frasi in giapponese e cori perfetti per le grandi arene.

7) Spread Your Wings (1977 – News Of The World). John Deacon era il tipico bassista delle rock band. Preciso e taciturno, se ne stava sul palco (e in sala di registrazione) facendo della discrezione la sua arma vincente, unita a una straordinaria competenza nel campo dell'elettronica. In più ha scritto canzoni come Another One Bites The Dust e I Want To Break Free, che hanno letteralmente consegnato ai Queen un successo planetario anche nei difficili anni '80. Nel disco, che comprendeva inni come We Will Rock You e We Are The Champios, John si cimentò con una ballata davvero poco conosciuta ma che per i fans rappresenta forse il suo vero capolavoro. È un vero e proprio racconto che ha per protagonista un ragazzo in cerca della propria strada, che nel frattempo lavora in un bar dove riceve i consigli del titolare che lo incita a spiccare il volo. Musicalmente è la rappresentazione di ciò che i Queen saranno per tutta la loro carriera, una band capace di sfornare ballate che il pubblico non può fare a meno di cantare.

8) Mustapha (1978 - Jazz). Fino al giorno della sua morte, Freddie Mercury è stato considerato un mistero. Estremamente schivo nella propria vita privata, che ha sempre cercato di custodire tenendo lontani i riflettori, non ha mai davvero raccontato molto di sé e delle sue origini. Questo brano tuttavia affonda direttamente nelle radici più antiche e oscure di questo ragazzo nato nell'isola di Zanzibar e di fede Zoroastriana. Il brano, caratterizzato da continui rimandi alle tipiche sonorità arabe, è cantato in un dialetto (il Parsi) conosciuto solo da una manciata di persone in tutto il mondo e richiama le tradizioni dell'antica Persia, dove il culto di Zoroastro mosse i primi passi prima ancora dell'avvento delle tre grandi religioni monoteiste. Si tratta di un “folle divertimento”, un gioco sonoro realizzato con incredibile serietà e maestria. Una di quelle cose che se fatte da altri potrebbero apparire solo bizzarre e dimenticabili, ma che nelle mani (e nella voce) di Freddie diventa puro genio.

9) Play The Game (1980 – The Game). La nuova decade per i Queen si aprì con la voglia e la necessità di rimettere in discussione tutto quanto fatto fino a quel momento. I membri della band sono sempre stati consapevoli che per durare non potevano fossilizzarsi sullo stesso genere, sebbene collaudato e dal sicuro successo. Così nel 1980 pubblicarono The Game, che modificava radicalmente il loro stile, anche con l'introduzione dei sintetizzatori, fino a quel momento ostinatamente rifiutati. Il disco conteneva pezzi memorabili come Another One Bites The Dust e Crazy Little Thing Called Love. L'apertura dell'album era invece affidata a questa ballata in puro stile Mercury, una nuova dichiarazione di intenti sonora di quello che sarebbe stato da allora in poi il percorso musicale dei Queen.

10) Life Is Real (1982 – Hot Space). Freddie Mercury definì questa canzone come una ballata alla John Lennon, a cui il brano è effettivamente dedicato. Per il loro nuovo album, che soprattutto sul primo lato proponeva numerose sperimentazioni in chiave funky, Freddie propose questa intensa composizione che celebrava il genio di Liverpool e che resta anche oggi un omaggio emozionante, portato in giro nei teatri da Brian May assieme alla cantante Kerry Ellis in una magnifica versione acustica.

11) Machines (1984 – The Works). I Queen hanno sempre amato la fantascienza, soprattutto Brian May che dopo il brano '39 del 1975 (in cui esplorava le possibilità dei viaggi nel tempo), scrisse assieme a Roger Taylor questa canzone interamente dedicata al mondo dei computer. A metà degli anni '80 l'idea che le macchine potessero prendere il sopravvento sull'umanità era parecchio diffusa grazie a libri e film che trattavano l'argomento. La band non si sottrasse alla fascinazione dell'argomento con questo brano rock, caratterizzato da batteria e chitarra sapientemente mescolate con abbondanti dosi di elettronica, divenute ormai l'ennesimo tratto distintivo della nuova musica dei Queen.

12) One Year Of Love (1986 – A Kind Of Magic). Dopo un album/colonna sonora come Flash Gordon (uscito nel 1980), i Queen tornarono a praticare i sentieri del cinema grazie al film Highlander per il quale scrissero alcuni brani poi finiti sul disco, che rappresentò un supporto formidabile per il leggendario Magic Tour, l'ultimo fatto assieme a Freddie Mercury. Nella setlist dell'epoca mancava però questo pezzo amatissimo dai fans, una composizione atipica scritta da John Deacon, a cui è legato anche un aneddoto poco conosciuto: non del tutto soddisfatto dell'assolo inciso alla chitarra da Brian May, il bassista chiese al sassofonista Steve Gregory di registrare la versione definitiva della canzone. È probabilmente una delle ballate più romantiche mai apparse su un album dei Queen. 

13) Was It All Worth It (1989 – The Miracle). Dopo tre anni di assenza dalle scene, durante i quali molti erano convinti che i Queen ormai non esistessero più, la band tornò a conquistare il mercato discografico con un album che coniugava perfettamente le esperienze più pop ed elettroniche degli ultimi anni con un ritorno al rock duro dei primi tempi. Da The Miracle furono estratti ben 5 singoli, mentre rimase nell'ombra la traccia conclusiva del 33 giri. Scritta da Freddie Mercury (anche se accreditata a tutto il gruppo) è forse il vero testamento spirituale del frontman, che ripercorre idealmente tutta la carriera dei Queen per giungere alla conclusione che si, fare tutto questo ne è valsa davvero la pena. 

14) These Are The Days Of Our Lives (1991 - Innuendo). Quando uscì il nuovo album dei Queen nel 1991 in pochi sapevano che quello sarebbe stato l'atto conclusivo di una carriera immensa, sebbene le voci sullo stato di salute di Freddie si rincorressero sulla stampa scandalistica già da tempo. Questo brano, in realtà scritto da Roger Taylor nella sala d'attesa di un aeroporto e pensato come una sorta di lettera per i figli a cui raccontare la propria vita, divenne per forza di cose l'ennesimo testamento musicale di Freddie, soprattutto grazie allo struggente video che lo vede per l'ultima volta protagonista con una performance sofferta eppure meravigliosa nella sua semplicità. Anche in questo caso parliamo di una canzone poco nota al grande pubblico ma che non smette di emozionare i fans di tutto il mondo per la profondità del testo e la delicatezza sonora.

15) Mother Love (1995 – Made In Heaven). Nonostante la malattia lo avesse seriamente debilitato, Freddie non ha mai smesso di incidere musica, anche dopo la pubblicazione di Innuendo. La sua idea era di lasciare ai fans e ai Queen materiale sufficiente per pubblicare un altro album. Il risultato arrivò solo nel 1995 e Mother Love, scritta a quattro mani con Brian May, fu il risultato della volontà di Freddie di poter cantare un brano in stile Wicked Game di Chris Isaac (e, in effetti, le similitudini sonore non mancano). Si tratta di una vera e propria poesia, un'invocazione affinché tutto il dolore possa sparire con un'ideale ritorno nel grembo materno. Non la stanca resa alla malattia, ma l'accettazione della propria condizione, un atto di forza potente almeno quanto la lotta stessa al male. Stranamente, pur essendo uno dei pochi veri inediti presenti sul disco, di Mother Love non è mai stato tratto un singolo e forse per questo pur essendo un autentico e atipico capolavoro nella discografia dei Queen, resta tra i brani meno conosciuti dal grande pubblico.

16) No-One But You (1997 - Rocks). I Queen senza Freddie Mercury non possono esistere. Questa è una delle frasi più ricorrenti che i fans, la critica e la stessa band hanno pronunciato più volte dopo il 1991. Eppure esiste una storia post Freddie che merita di essere raccontata e conosciuta. Questo singolo, unico inedito per la raccolta Rocks, vede la band nella formazione originale, con al basso per l'ultima volta John Deacon, che di lì a poco sceglierà di ritirarsi dalle scene. Cantata da Brian e Roger, è una ballata in perfetto stile Queen nonostante l'assenza di Freddie ed è dedicata a lui e a tutti quei grandi personaggi scomparsi troppo presto.

17) We Believe (2008 – The Cosmos Rocks). L'incontro con il cantante Paul Rodgers segnò l'inizio di una vera e propria nuova fase nella carriera dei Queen. Assieme all'ex leader dei Free e Bad Company si imbarcarono in un tour celebrativo e il successo ottenuto li spinse a mettersi alla prova anche in studio. Il risultato fu un album passato pressoché inosservato e il più delle volte stroncato dalla critica. Eppure si tratta di un lavoro interessante, splendidamente suonato e con alcune canzoni che avrebbero meritato ben più fortuna. Tra queste c'è sicuramente We Believe, scritta da Brian May e ispirata alle sue lotte animaliste, che lo hanno reso tra i promotori più importanti per la salvaguardia dell'ambiente nel Regno Unito e non solo. Tuttavia il mancato successo segnò la fine della collaborazione con Rodgers, ma non dei Queen, da qualche anno ormai ritornati con ancora maggiore determinazione (e successo) assieme al nuovo frontman Adam Lambert.

18) Let Me In Your Heart Again (2014 - Forever). Consapevoli che il pubblico vuole soprattutto la voce di Freddie Mercury, meno di due anni fa la band ha dato alle stampe con la nuova casa discografica (Universal) la raccolta Forever che contiene anche tre inediti o semi-inediti. Tra questi spicca una sontuosa ballata scritta originariamente da Brian May per un progetto discografico della sua attuale moglie, l'attrice Anita Dobson. Il brano, pensato per The Works, venne tuttavia  accantonato e di fatto dimenticato negli sterminati archivi della band. Fortunatamente, la recente riscoperta dei nastri dell'epoca ha consentito la pubblicazione di questa canzone, ingiustamente rimasta chiusa nei cassetti e che fa ben sperare per il futuro...".


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